Tag Archivio per: SICUREZZA SUL LAVORO

Macchine e attrezzature costruite antecedentemente alla direttiva macchine devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza richiamati nell’allegato V del d.lgs. 81/08. Le indicazioni di INAIL. La legislazione prevede espressamente che le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto ovvero messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all’emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto siano conformi ai requisiti generali di sicurezza richiamati nell’allegato V del d.lgs. 81/08.

A questo gruppo di attrezzature appartengono ad esempio:

  • macchine, apparecchi, utensile o impianti di processo messi a disposizione dei lavoratori antecedentemente il 21/09/1996;
  • macchine ordinarie da ufficio messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente il 31/12/1996;
  • apparecchi a pressione messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente il 30/05/2002;
  • trabattelli e scale, in quanto costruite in assenza di disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto.

Per gli specifici approfondimenti si rimanda alle sezioni dedicate.

Queste attrezzature di lavoro non recano marcatura CE, sono prive di dichiarazione di conformità CE e, in molti casi, risultano carenti di supporti informativi per l’uso e la manutenzione.
Il datore di lavoro in questo caso deve corredare l’attrezzatura di apposite istruzioni d’uso e libretto di manutenzione.

È importante rilevare che la norma prevede che chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria macchine, apparecchi o utensili costruiti o messi in servizio non marcati CE attesti, sotto la propria responsabilità, che le stesse siano conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti di sicurezza di cui all’allegato V del d.lgs. 81/08.

Quanto sopra non vale nel caso in cui dette attrezzature abbiano subito, nel corso del loro utilizzo, modifiche “sostanziali”, intese come modifiche delle modalità d’utilizzo e delle prestazioni previste dal fabbricante originale. In questo caso le attrezzature devono essere assoggettate dal datore di lavoro a nuova messa in servizio ossia a una nuova procedura di valutazione di conformità prevista dalle direttive comunitarie di prodotto pertinenti.

Per le macchine questa procedura di valutazione di conformità è declinata dall’art. 3 del d.lgs. 17/2010 e s.m.i..

Particolare trattazione meritano i trattori agricoli che risultano omologati seguendo la direttiva 2003/37/CE e il regolamento UE 167/2013 e non recano la marcatura CE. Queste attrezzature di lavoro, se omologate ai sensi della direttiva 2003/37/CE, dal 1 gennaio 2010 al 1 gennaio 2018, devono rispondere anche alla direttiva macchine (2006/42/CE) e recheranno marcatura CE. Un maggiore approfondimento richiedono i trattori su cingoli (vedere pagina dedicata ai trattori in questa stessa area tematica di Conoscere il rischio).

ALLEGATO V

La legislazione prevede espressamente che le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto ovvero messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all’emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto siano conformi ai requisiti generali di sicurezza richiamati nell’allegato V al d.lgs. 81/08.

Questo allegato riporta i requisiti di sicurezza che le attrezzature devono possedere qualora esista per l’attrezzatura un rischio corrispondente.

In quest’ottica l’allegato riporta tutta una serie di misure tecniche che riguardano genericamente le attrezzature di lavoro, prevedendo requisiti di sicurezza per i rischi correlati a:

  • sistemi e dispositivi di comando,
  • rottura, proiezione e caduta di oggetti durante il funzionamento di un’attrezzatura,
  • emissioni di gas, vapori, liquidi, polvere, ecc.,
  • elementi mobili e stabilità,
  • illuminazione, temperature estreme e vibrazioni,
  • incendio ed esplosione,
  • manutenzione, riparazione, regolazione ecc.,

L’allegato V specifica, inoltre, ulteriori requisiti di sicurezza da considerare nel caso di attrezzature caratterizzate da particolari rischi come:

  • le attrezzature a pressione,
  • le attrezzature di lavoro mobili, semoventi o no,
  • le attrezzature di lavoro adibite al sollevamento, al trasporto o all’immagazzinamento di carichi,
  • le attrezzature di lavoro adibite al sollevamento di persone e di persone e cose,
  • le macchine per il sollevamento o lo spostamento di persone,
  • determinate attrezzature di lavoro (mole abrasive macchine utensili per metalli, macchine utensili per legno e materiali affini, ecc).

Una volta classificato il prodotto come attrezzatura di lavoro il datore dovrà quindi valutare i requisiti di sicurezza posseduti dallo stesso in base all’allegato V e riportare detta analisi ad esempio nel documento di valutazione dei rischi previsto dall’articolo 17, comma 1, lettera a) del d.lgs. 81/08 e s.m.i.

Quest’obbligo, con relativa attestazione formale, ricade anche su chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria macchine, apparecchi o utensili costruiti o messi in servizio non marcati CE, che dovrà attestare che le stesse siano conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria.

Fonte:  Punto Sicuro

 

Il sopralluogo e gli accertamenti degli enti di controllo vengono spesso vissuti in azienda come una momento di tensione da parte dei referenti aziendali. In base all’esperienza Org Numeri per vivere serenamente questi momenti naturali nella vita di qualsiasi azienda è necessario avere chiaro innanzitutto quali sono gli aspetti specifici e prioritari sul quale concentrarsi sia a livello documentale che operativo.

Di seguito si riportano alcuni consigli pratici:

DOCUMENTAZIONE:

L’elenco dei documenti assolutamente necessari e da garantire disponibili in sede di accertamento sono molteplici e dipendono  anche dall’attività specifica e dalla tipologia di impianti presenti in azienda. Lo SPISAL di Treviso  per agevolare le azienda ha redatto un elenco completo della documentazione potenzialmente richiedibile in sede di accertamento (vedi download in calce all’articolo). Questo è uno strumento utilissimo che permette di avere una check list di riferimento da cui partire.

I documenti ovviamente devono esser disponibili e facilmente reperibili pertanto la gestione a livello cartaceo ed informatico deve esser chiara e condivisa da parte degli uffici preposti all’attività di gestione della sicurezza in azienda. Come Org Numeri abbiamo sempre sostenuto l’importanza di tenere un ordine definito di archiviazione documentale, di predisporre raccoglitori con copertine ed indici per facilitare la reperibilità dei documenti, archivi digitali con codifiche condivise e strumenti gestionali web con sistemi di ricerca rapida per facilitare la reperibilità delle informazioni.

Dimostrare agli enti di controllo di governare il processo e la gestione dei documenti è un forte segnale di consapevolezza e competenza dell’azienda che spesso aiuta a partire con il piede giusto.

ISPEZIONE SUL CAMPO:

Durante il sopralluogo è necessario accompagnare e mai ostacolare o contraddire le osservazioni degli ispettori garantendo sempre la massima disponibilità. E’ opportuno prima di iniziare la verifica ispettiva in reparto contattare l’RLS (se presente) affinché partecipi e venga coinvolto in forma attiva al fine di dimostrare un effettivo coinvolgimento e partecipazione attiva dei lavoratori. In sede di verifica è probabile che i pubblici ufficiali facciano quesiti ai lavoratori o chiedano direttamente chiarimenti: per tale motivo è necessario non intralciare e non interrompere la discussione. Nel caso in cui sia richiesto di parlare in privata sede deve esser sempre garantita la dovuta privacy.

I sopralluoghi periodici degli enti di controllo devono esser visti come momenti di approfondimento e crescita, in cui l’azienda può dimostrare l’impegno e l’attenzione profusa verso il tema della sicurezza e salute del lavoro. Eventuali errori e sbavature (sempre presenti anche nelle migliori organizzazioni) vanno presi come spunto di miglioramento e di riflessione. Deve esser sempre garantita l’ottica di collaborazione e di buona volontà.

Per evitare spiacevoli sorprese in sede di accertamento si consiglia come buona prassi di applicare queste buone abitudini:

  • Effettuare  sopralluoghi periodici in produzione (anche a sorpresa) per verificare il comportamento naturale dei lavoratori ed il loro rispetto circa le regole aziendali ed istruzioni di sicurezza impartite (“Gemba walks” nella filosofia LEAN).
  • Nel caso in cui siano riscontrate violazioni, parlare con i lavoratori e cercare di capire le motivazioni profonde per le quali gli addetti non rispettano quanto definito (spesso si rende conto del gap tra il lavoro “immaginato” ed il lavoro “reale” – dimostrando una chiara incompatibilità tra la parte teorica e quella operativa).
  • Abituare gli operatori ad esser coinvolti negli aspetti legati alla sicurezza e fargli partecipare attivamente nella scelta delle soluzioni (questo garantirà il rispetto di quanto definito in quanto condiviso con tutti tramite un processo democratico e partecipativo).
  • Sensibilizzare gli addetti a segnalare eventuali difformità tecniche ed organizzative (anche eventuali incongruenze ed inapplicabilità di istruzioni ricevute): garantir un clima di fiducia e rispetto (“Just Culture” ) è la base per creare una cultura preventiva efficace (se gli addetti temono ripercussioni o non vedono feedback rispetto a quanto segnalato verranno disincentivati e gli errori latenti dell’organizzazione continueranno a crescere). Non cercate colpevoli, cercate soluzioni.
  • Garantire ordine e pulizia nei reparti. Sempre banale dirlo ma un ambiente pulito ed ordinato trasmette già una sensazione di attenzione e controllo maggiore, una sensibilità che viene percepita in sede di controllo. La pulizia garantisce una riduzione dei rischi di natura igienica e chimica e l’ordine dei rischi connessi alla caduta di oggetti,  a livello, urti ed investimenti.
  • Le persone sbagliano e fanno errori. Non bisogna mai dimenticarci che l’errore fa’ parte del nostro esser umani. Per questo durante le nostre verifiche ispettive dobbiamo sempre prestare attenzione alle operazioni a rischio dove il fattore umano è determinante e costruire sistemi di sicurezza “resilienti” che permettano di anticipare e contenere eventuali errori comportamentali. Come diceva J. Reason nel suo famoso libro L’errore Umano “Non possiamo cambiare gli esseri umani ma possiamo cambiare le condizioni in cui lavorano”.

Seguiranno altri articoli con ulteriori tips!

👇👇👇

Una circolare del ministero dell’Interno precisa agli organi di Polizia come svolgere i controlli sul carico dei veicoli industriali, chiarendo le sanzioni e prevedendo la corresponsabilità del caricatore. La circolare diffusa il 29 ottobre 2019 dalla Direzione Centrale per la Polizia Stradale del ministero dell’Interno chiarisce alcuni aspetti sui provvedimenti attuati dal Decreto del ministero dei Trasporti numero 215/2017, con lo scopo di fornire indicazioni alle pattuglie che disciplina e rende omogenei in tutta l’Unione Europa i controlli sul fissaggio del carico dei veicoli industriali con massa complessiva superiore a 3,5 tonnellate (oltre che degli autobus e dei trattori agricoli).
La circolare affronta innanzitutto la corretta sistemazione del carico, necessaria perché la mancanza o l’insufficienza di misure che fissano il carico può causare la sua fuoriuscita dal vano o addirittura il ribaltamento del veicolo. Il testo sottolinea che per ridurre il rischio di spostamento del carico è necessario distribuirlo correttamente rispetto agli assi ma è importante anche ridurre l’attrito tra il carico e il pianale e a tale scopo si possono usare pure tappetini anti-sdrucciolevoli per usi industriali, che possono integrare le cinghie e le catene di fissaggio. Rispetto a questi ultimi, la circolare precisa che “l’utilizzo di sistemi non omologati, privi di etichetta di certificazione, equivale al mancato uso del dispositivo”.

La circolare prosegue parlando dei soggetti che possono svolgere i controlli ed erogare le eventuali sanzioni. Il Decreto 215/2017 stabilisce che lo debbano fare gli ispettori del ministero dei Trasporti, ma la circolare precisa che gli articoli 11 e 12 del Codice della Strada “non escludono a priori” anche la competenza della Polizia Stradale “ogni qualvolta l’accertamento non richieda un controllo approfondito che presuppone particolari competenze e conoscenza specialistiche”. In concreto, gli agenti della Polstrada possono contestare la violazione “ove venga individuata una macroscopica violazione della norma”. A tale proposito, il testo porta degli esempi: carico disposto su un lato e non bilanciato, assenza di cinghie o catene dove previste, cinghie o catene prive di etichetta di omologazione o etichette non leggibili.
La circolare spiega anche quali articoli del Codice della Strada si possono applicare nel caso violazione. Innanzitutto i commi 1 e 4 dell’articolo 79 del Codice della Strada sull’efficienza dei veicoli che prevede una sanzione da 84 a 335 euro, poi l’articolo 164 dello stesso Codice, dedicato in modo specifico alla sistemazione del carico, che prevede anch’esso sanzioni da 84 a 335 euro. La circolare aggiunge che nel caso di violazione rilevata sulla strada “occorre inoltre considerare la responsabilità degli altri soggetti della filiera dell’autotrasporto”. In prima battuta deve essere considerato il caricatore e poi, “solo nel caso in cui siano accertate specifiche responsabilità”, il vettore, il committente e il proprietario della merce.

Più nel dettaglio, la circolare indica di applicare – in presenza di carenze macroscopiche – l’articolo 164 del Codice della Strada in caso di carico sbilanciato o sistemato in modo tale da ostruire la visuale al conducente (con ritiro della carta di circolazione fino al ripristino del carico) e l’articolo 79 dello stesso Codice in caso di sistemi di ancoraggio assenti o privi di etichetta di omologazione (con un solo contesto a prescindere dal numero di violazioni accertate). In questi casi raccomanda agli agenti di fotografare il vano di carico e reperire i documenti sul trasporto. Questi ultimi servono per individuare il caricatore che, se è diverso dal conducente, richiede un altro verbale.
Un altro chiarimento della circolare riguarda la perdita del carico in caso d’incidente stradale, perché questa situazione può avere una “particolare rilevanza”. Quindi, il ministero raccomanda agli agenti di acquisire documentazione fotografica e descrittiva dello stato della merce, “con particolare riferimento ai sistemi adottati per l’ancoraggio”, come tappetini, cinghie e catene. Per ciascuno di tali elementi bisogna indicare marca, modello, tipo e omologazione. Per i veicoli che trasportano container la circolare raccomanda di verificare l’utilizzo di perni metallici di ancoraggio al telaio del rimorchio.

Fonte: TRASPORTO EUROPA

CIRCOLARE MINISTERO INTERNO 29 OTTOBRE 2019 CONTROLLI FISSAGGIO CARICO

I recenti infortuni mortali, tra cui in particolare quello relativo ai quattro infortuni mortali che sono avvenuti nella vasca di liquami ad Arena Po, nel pavese,  hanno aumentato in questi mesi l’attenzione pubblica ed in particolare quella istituzionale sulla prevenzione degli infortuni negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati.

In merito a questo tematica si segnala l’uscita nel Settembre 2019 delle “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi derivanti dai lavori in ambienti confinati o a rischio di inquinamento”, di cui presentiamo a fine intervista una prima versione ufficiale (sono previsti aggiornamenti futuri), con particolare riferimento alle novità contenute, al ruolo del medico competente e al tema delle emergenze.

La linea guida fornisce un preciso e dettagliato quadro normativo, si focalizza sulle singole responsabilità dei vari destinatari della linea guida e approfondisce tematiche come la definizione di spazio confinato, analisi dei rischi, modalità di attuare la formazione, informazione ed addestramento, la gestione delle emergenze ed il ruolo della figura del Medico Competente.

In particolare si segnala la presentazione dell’APP CONFINED SPACE,  realizzata dal Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Bologna, con il
supporto del gruppo Banca delle Soluzioni – Ambienti Confinati, grazie al cofinanziamento ottenuto da INAIL Regione Emilia Romagna, mediante Bando Regionale 2016.
Questo APP è un servizio gratuito  fornito per i datori di lavoro per stabilire se gli ambienti in cui operano i propri lavoratori possono essere considerati confinati o sospetti d’inquinamento e quindi problematici per le attività di recupero e di salvataggio in caso di incidente. CSA non vuole, quindi, essere uno strumento per la valutazione dei rischi, né vuole sostituirsi ad essa, ma rappresenta un aiuto per individuare la presenza di un ambiente confinato e le relative criticità dovute alle sue caratteristiche, in termini di Geometria, Accesso, Configurazione Interna, Atmosfera, che, secondo la classificazione OSHA, rappresentano le quattro principali categorie di confinamento.

L’app è scaricabile gratuitamente ma prevede due livelli di accesso: uno aperto e liberamente consultabile, che presenta la versione demo e un archivio di valutazioni da consultare; il secondo invece presenta le funzionalità complete con la possibilità di ottenere il risultato finale.
Per ciascuna categoria vengono sottoposte all’utente diverse domande per identificare le caratteristiche del luogo. Il risultato finale è un valore numerico, frutto di un algoritmo di calcolo basato sulle diverse risposte dell’utente, che identifica la possibilità di trovarsi o meno in presenza di ambiente confinato e/o sospetto d’inquinamento. L’applicazione informa l’utente rispetto alla presenza di confinamento per ciascuna categoria analizzata.
Per ciascuna categoria di confinamento vengono, inoltre, evidenziate le rispettive criticità e gli avvertimenti di cui tenere conto prima di entrare nell’ambiente oggetto dell’analisi, anche rispetto alla difficoltà di recupero e di salvataggio.

Si segnala inoltre in particolare l’Allegato 03 della linea guida (Flow Chart Emergenze per Spazi Confinati) e l’Allegato 05 (check list editabile del comando VVF di Pistoia in merito alla  Comunicazione preventiva ai fini dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 3 co. 3 DPR 177/2011 ed art. 43 c.1 lett. a) DLgs 81/2008).

Buona lettura!

Fonte: Punto Sicuro

 

 

Il progetto di ricerca denominato “Studi di fattibilità connessi all’accessibilità di Big Data” ha costituito un archivio integrato Istat-Inail di incidenti con mezzo di trasporto, che collega l’informazione incidentale con l’informazione occupazionale/assicurativa. Nell’ambito del Piano della attività di ricerca discrezionale dell’Inail per il triennio 2016 – 2018 è stato condotto un progetto di ricerca di analisi del fenomeno incidentale di origine occupazionale, con la costituzione di un gruppo di lavoro Istat – Inail finalizzato all’integrazione e alla connessione degli archivi dei due Enti, in particolare con i dati relativi agli incidenti con mezzo di trasporto, per studiarne le caratteristiche, i determinanti e orientarne le politiche di prevenzione. La presente monografia illustra i principali risultati di questa ricerca. La monografia ne illustra i principali risultati quali: le metodologie impiegate per la connessione degli archivi incidentali, l’analisi statistica integrata del fenomeno, le elaborazioni eseguite con tecniche avanzate di statistica per la individuazione dei determinanti e la classificazione del fenomeno, l’analisi del fenomeno in relazione alle caratteristiche della rete viaria, l’incidenza del traffico telefonico mobile sul rischio di incidente con mezzo di trasporto, le differenze di genere.

Estratto CONCLUSIONI della monografia:

“Esaminando le caratteristiche dei soggetti coinvolti in infortuni stradali nella base dati integrata, si è registrato che l’85% degli eventi mortali e l’87% dei non mortali a seguito
di infortunio stradale è costituito dai conducenti dei veicoli coinvolti. Tra i conducenti deceduti a seguito di infortunio stradale i più colpiti sono quelli in età compresa tra i
41 e 50 anni (30%). Nella metà dei casi non mortali il veicolo coinvolto è un’autovettura e nel 28% dei casi un motociclo o un ciclomotore. La natura dell’incidente ha rappresentato un’informazione molto importante per la determinazione della dinamica dell’incidente e l’esito dell’evento. Tra i casi mortali è più frequente lo scontro frontale (23%), la fuoriuscita (19%), l’urto con ostacoli fissi o accidentali (8%), l’investimento di pedone (5%) e l’urto con veicolo in momentanea fermata o arresto (4%). Di contro, tra gli eventi non mortali, prevalgono scontro frontale-laterale (37%), tamponamento (26%) e scontro laterale (11%). Circa la metà degli infortuni stradali avviene su un rettilineo: il 50% di quelli con esito mortale e il 45% di quelli con esito non mortale. La localizzazione degli infortuni stradali costituisce un elemento fondamentale per la determinazione dell’esito dell’evento. Il 56% dei casi denunciati si registra sulle strade urbane, il 13% sulle strade provinciali extraurbane e il 9% sulle strade provinciali entro l’abitato. Differenziazioni tra gli incidenti emergono anche per le ore del giorno con picchi in concomitanza dell’andata e ritorno dal lavoro e della pausa pranzo (che per i lavoratori part-time coincide con la fine del turno) tra le 7 e le 8, alle 13 e tra le 17 e le 18.
L’analisi per modalità di accadimento evidenzia quanto la componente degli infortuni in itinere sia importante nella casistica degli infortuni sul lavoro stradali, perché trasversalmente interessa tutte le tipologie di lavoratori. Per quanto riguarda la classe d’età, è la fascia 35 – 49 anni la maggiormente colpita. L’analisi territoriale per gli infortuni stradali riporta la ripartizione Nord al primo posto con il 65% dei casi, 49% per i mortali. Nel Sud del Paese la situazione è opposta: 19% mortali, 9% non mortali. Tale gradiente territoriale lascia spazio a notevoli interpretazioni soprattutto sul contributo della sotto-denuncia nel Mezzogiorno. Tra i settori economici rilevante è la quota del
trasporto e magazzinaggio, commercio e costruzioni nei casi di incidenti in occasione di lavoro.Le differenze di genere sono state anche affrontate in questo studio. In Italia gli infortuni sul lavoro in itinere rappresentano per le donne, la prima causa di morte. Il viaggio costituisce per le lavoratrici la parte più pericolosa della giornata lavorativa poiché, in molte professioni, il rischio è più elevato di quello degli infortuni in ambiente di lavoro. Il presente studio ha evidenziato come le prime ore della mattinata, talvolta in condizioni di scarsa visibilità e intemperie, siano condizioni a rischio per il genere femminile,con più elevate possibilità di causare uno scontro frontale o frontale-laterale in strada”.

Gli incidenti con mezzo di trasporto – Un’analisi integrata dei determinanti e dei fattori di rischio occupazionali

Fonte: INAIL

Guardando la giurisprudenza degli ultimi anni in tema di valutazione dei rischi, l’idea che se ne ricava è che vi siano alcuni “errori” di impostazione nella valutazione dei rischi e nella stesura del relativo documento che ricorrono nelle varie sentenze e sono comuni a più casi. Elenchiamo e illustriamo di seguito brevemente i principali (ovviamente sulla base di una selezione e senza pretese di esaustività, perché gli operatori della prevenzione e gli osservatori del settore ne potranno riscontrare nella pratica anche altri), prendendo come esempio – o in qualche caso solo come spunto di partenza – alcune pronunce di Cassazione.

1) Incompletezza, mancanza di specificità, incongruenza

 I DVR sono a volte incompleti e/o mancanti di specificità.Un esempio giurisprudenziale può essere tratto da una sentenza dell’anno scorso (Cass. Pen., Sez.III, 27 luglio 2017 n.37412).

Infatti “il documento per la valutazione dei rischi, presentava nel caso di specie numerose incongruenze e incompletezze (in un’impresa agricola dedita all’allevamento principalmente di ovini, ma anche di suini e bovini risultavano indicati soltanto dipendenti adibiti alla pulizia delle stalle, rispetto ai quali peraltro, non erano analizzati con completezza i relativi rischi; pure essendo analizzati i rischi per le attività di coltivazione, ossia aratura erpicatura, fertilizzazione dei terreni, falciatura e trinciatura, non era indicato alcun lavoratore addetto, sul posto era presente una voliera con pollame senza che l’attività di avicoltura fosse indicata, non erano analizzati i rischi legati all’uso di attrezzature meccaniche dell’attività di allevamento, pur presenti né risultavano indicate le mansioni specifiche dei dipendenti).”Era stata riscontrata inoltre “l’omessa indicazione del rischio biologico specifico esistente in una delle lavorazioni (in particolare correttamente evidenziando la sentenza impugnata come mentre il documento riconosceva la presenza di rischi biologici a pagina 47 non analizzava i rischi legati alla possibile presenza di agenti patogeni veicolati dagli animali, nonostante vi fossero lavoratori addetti alla mungitura e allevamento esposti a tali rischi biologici (derivanti dal contatto con gli animali). Da ciò correttamente deduceva, altresì, il tribunale, la necessità della nomina di un medico competente per la sorveglianza sanitaria, non nominato nonostante vi fosse l’esposizione al rischio biologico derivante dall’allevamento di animali”.La Cassazione ricorda così “la giurisprudenza di questa corte che ha, in numerose occasioni, chiarito come non è solo l’assenza ma la incompletezza del documento in questione a concretizzare l’ipotesi di reato, giacché, ritenendo diversamente, tale redazione assumerebbe un significato solo formale.”Dunque la Corte conferma la decisione precedente che non aveva commesso errore “nel ritenere il documento incompleto, in quanto non contenente la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori emergenti dagli accertamenti svolti, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari (in genere le attività a contatto con gli animali, la pulizia delle stalle, le attività svolte con uso di mezzi meccanici e quelle comportanti rischi biologici come la mungitura, etc…) e, in definitiva carente nelle indicazioni relative alla scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze e dei preparati impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, è congrua e logica.”

Né aveva errato il Tribunale nel ritenere che “il documento per la valutazione dei rischi redatto dal titolare della ditta fosse a tal punto incompleto e confuso da non consentire ai lavoratori di comprenderne il contenuto e quindi inidoneo a svolgere la sua funzione di spiegare i rischi specifici del lavoro e gli strumenti disposti per evitare che si possono realizzare.”

 Riguardo alla necessità della specificità del DVR, poi, un’altra sentenza dell’anno scorso (Cass. Pen., Sez.IV, 31 gennaio 2017 n.4706) ricorda che “lo strumento della adeguata valutazione dei rischi è un documento che il datore di lavoro deve elaborare con il massimo grado di specificità, restandone egli garante: l’essenzialità di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di tutti i rischi per la sicurezza, non è possibile una adeguata politica antinfortunistica (così, Sez.4, 13.12.2010, n.43786, Cozzini).”

 2) Mancato aggiornamento periodico del DVR e considerazione della migliore scienza e tecnica

Le sentenze più recenti insistono molto sull’obbligo di aggiornamento del DVR e fanno emergere con particolare evidenza il fatto che non sempre i DVR sono aggiornati come dovrebbero.

In Cass. Pen., Sez.IV, 31 gennaio 2017 n.4706 troviamo un buon esempio di questa frequente mancanza.

Essa descrive un caso in cui “le lesioni furono cagionate dal cattivo funzionamento del macchinario, che aveva indotto gli operai ad un lavoro più impegnativo e difficile di quello consueto: essi si dovevano occupare, infatti, anche del taglio di quelle parti di tessuto che dovevano essere tagliate dalla macchina.”

Dunque “la formazione svolta in passato e la scelta dello strumento individuale di protezione era risultata perciò insufficiente, mentre sarebbe stato necessario – come ben evidenziato dalla Corte di merito – valutare il nuovo e maggiore rischio e considerare l’utilizzo di dispositivi di protezione con caratteristiche diverse, idonee a fronteggiare il mutamento e l’aumento di difficoltà del lavoro connessi al guasto del macchinario.”

 In particolare, “per la gestione del taglio aggravato dalla macchina non funzionante occorreva invece una informazione appropriata sullo specifico rischio, doveva essere valutato se l’operazione di taglio dei pannelli (non la semplice rifilatura) potesse essere tutta affidata alla mano dell’uomo e se fossero necessari strumenti diversi dal piccolo cutter in dotazione.

 La valutazione del rischio effettuata nel 1998 non era più attuale alle contingenze del momento e doveva essere adeguata al mutamento delle condizioni di lavoro.”

 Infatti, “le misure atte a prevenire il rischio di infortuni vanno infatti individuate in ragione delle peculiarità della sede di lavoro e progressivamente adattate in ragione del mutamento delle complessive condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto “dinamico” del rischio, che impone l’adeguamento degli strumenti di protezione e l’aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto.

Nel caso in esame il rischio nuovo era dovuto al guasto della macchina tagliatrice.”

Aggiungiamo poi che la recentissima Cass. IV Pen., 8 febbraio 2018 n.6121 ricorda poi che il Documento di Valutazione dei Rischi “è uno strumento duttile, che deve essere adeguato e attualizzato, in relazione ai mutamenti sopravvenuti nell’azienda che sono potenzialmente suscettibili di determinare nuove e diverse esposizioni a rischio dei lavoratori.Incombe sul datore di lavoro l’onere di provvedere, non solo ad individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, ai fini della redazione del suddetto documento, ma anche di provvedere al suo aggiornamento (così Sez. U., n.38343 del 24/04/2014, Rv.261109).”

Analogamente, una sentenza di un anno fa (Cass. IV Pen., 23 gennaio 2017 n.3313) ricordava che “il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del RSPP, ha l’obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art.28 del D.Lgs.n.81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i DPI”.

 3) Mancata considerazione dei pericoli “notori” e della “casistica concretamente verificabile”

Una sentenza del febbraio di quest’anno (Cass. IV Pen., 8 febbraio 2018 n.6121) rappresenta un buon esempio di cosa si possa intendere per pericoli “notori”.

Un datore di lavoro di una s.p.a. era imputato per aver causato “lesioni personali alle dipendenti…, le quali, impiegate nell’attività di cottura di pasti destinati alla refezione scolastica […] mediante l’impiego di apposito macchinario a pressione (brasiera multifunzione a gas…), in seguito ad errate manovre di utilizzo della macchina, venivano investite da un imponente getto di calore proveniente dall’acqua in ebollizione, che cagionava loro ustioni in varie parti del corpo […].”

Al datore di lavoro erano stati contestati, oltre a profili di colpa generica, anche “profili di colpa specifica, individuati nella violazione dell’art.17, comma 1, lett.b), D.lgs.81/08 per non avere, l’imputato, valutato i rischi derivanti dall’impiego dei macchinari agroalimentari multifunzione per la cottura tradizionale o in pressione dei cibi.”Qui emerge molto bene il concetto di pericolo notorio che non può non essere valutato. Secondo la Cassazione, infatti, “il rischio connesso alla presenza, tra gli strumenti messi a disposizione dei lavoratori, di una macchina (brasiera multifunzione) idonea ad essere utilizzata anche per la cottura a pressione, costituendo un pericolo “notorio anche nelle ordinarie cucine dei privati”, dovesse essere opportunamente previsto e valutato.”Questo sulla base del presupposto che “il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi.”

 4) Mancata considerazione di ciò che si è già verificato

 Citiamo un esempio per tutti. Il caso posto qui all’attenzione ( Cass. IV Pen., 26 novembre 2015 n.47002) vede come imputato un datore di lavoro il quale “non aveva preveduto nel documento di valutazione dei rischi quelli connessi all’operazione di incordatura (con particolare riferimento ai rischi relativi al contatto con gli organi in movimento) e non aveva disposto che la zona relativa all’avvolgitore della linea CAST 1 (presente nel reparto estrusione, sulla quale era avvenuto l’infortunio) fosse dotata di dispositivo di interblocco che escludesse l’avvio accidentale dell’organo ruotante denominato “aspo” quando il cancello della predetta linea risultava aperto.”Nel grado di giudizio precedente, “dopo una preliminare descrizione dell’impianto e del contesto nel quale si è verificato l’infortunio…, è stato ritenuto prevedibile il fatto che nel turno di notte si potesse arrestare l’aspo (le cui anomalie si erano più volte verificate in passato)”.Tra l’altro, è interessante il fatto che “nella sentenza del Giudice di primo grado è stata presa in esame la possibilità che l’imputato, nella sua qualità di datore di lavoro, non fosse stato informato (prima dell’infortunio) della non regolare corsa dell’aspo, ed è stato sul punto rilevato che il problema dell’aspo che si fermava era così rilevante da indurre il caporeparto a dare ai dipendenti la disposizione di non entrare nell’impianto con l’aspo fermo; ciò non di meno il capo reparto non aveva riferito al responsabile della sicurezza per essere supportato nell’iniziativa e per avere lumi su soluzioni differenti e più definitive, anche al fine di deresponsabilizzarsi.Ed è stato conclusivamente ritenuto che l’imputato colpevolmente non aveva “dato disposizioni in merito ai dipendenti affinché lo rendessero edotto tempestivamente di inconvenienti che potevano avere ripercussioni sui suoi interventi nel campo della sicurezza.” 

5) Mancata individuazione nel DVR delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare e dei ruoli dell’organizzazione (art.28 comma 1 lett.d) D.Lgs.81/08)

 L’obbligo di inserire nel DVR “l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri” è stato introdotto nel 2008 dal decreto 81 ma, pur essendo tale obbligo in vigore da quasi 10 anni, risulta ancora in molti casi disatteso.Nel panorama giurisprudenziale iniziano ad essere davvero numerose le sentenze che sottolineano l’omissione di tale individuazione nel Documento di Valutazione dei Rischi aziendale. Citiamo solo qui Cass. IV Pen., 31 gennaio 2014 n.4961 che, nell’interpretare tale requisito, precisa che “sul piano testuale, il concetto di realizzazione (di “attuazione delle misure da realizzare” si legge appunto nell’art.28) reca in sé tanto il concetto di attività “creatrice”, ovvero che produce per la prima volta un determinato risultato, sia il concetto di attività di conservazione di quanto prodotto: la realizzazione è insomma anche l’attività permanente che consente il mantenimento nel tempo di quanto realizzato.”

 

Fonte: Punto Sicuro

Obbligo della verifica dell’apprendimento: la Cassazione Penale, Sez.IV, 7 n.54803/2018, afferma che “il lavoratore infortunato – assunto da poco – era addetto alla pressa solo qualche giorno prima dell’infortunio; uno stampatore, ma non aveva alcuna competenza nello specifico settore; la formazione impartitagli era stata dunque del tutto insufficiente, perché il corso generale sul funzionamento dei macchinari era durato solo quattro ore ed egli era stato avviato a lavorare da solo sul macchinario in questione dopo appena due giorni, senza una previa verifica pratica e in assenza di un vero e proprio affiancamento e di una concreta supervisione, come pure previsto dall’art.5.1 della procedura in vigore presso l’azienda.”

Nel confermare la condanna del datore di lavoro, si sottolinea che “l‘obbligo di formazione non si esaurisce nel passaggio di conoscenze teoriche e pratiche al dipendente, dovendo il soggetto obbligato verificare anche che esse siano divenute patrimonio acquisito in concreto, ciò che solo una effettiva prova pratica, sotto la supervisione di un tutor può garantire

Nell’articolo 37 del D.Lgs.81/08, richiamato dalla Cassazione in quest’ultima sentenza, è dunque rintracciabile un’applicazione al tema della formazione del principio di effettività, da decenni applicato e ribadito in via giurisprudenziale dalla Corte di Cassazione, secondo cui quella prevista dall’attuale articolo 37 stesso non può essere configurata come una “obbligazione di mezzi”, la quale – qualora in questo caso sussistesse – obbligherebbe il datore di lavoro semplicemente allo svolgimento di una certa attività (l’“erogazione” della formazione, indipendentemente dalla verifica dell’assimilazione da parte del lavoratore), bensì va inquadrata come un’obbligazione di risultato, laddove quest’ultimo è rappresentato dalla effettiva assimilazione dei concetti e dei contenuti ad opera dei destinatari della formazione.

Se ciò che viene richiesto al datore di lavoro è dunque il raggiungimento di un obiettivo concreto, legato all’apprendimento da parte del lavoratore  e quindi ad un risultato verificabile – e da verificarsi obbligatoriamente – nella pratica, lo strumento per il raggiungimento di tale risultato e quindi l’adempimento dell’obbligazione sottostante non può che essere inquadrato in termini fattuali, sostanzialistici e di reale raggiungimento dello scopo, e non certo in termini burocratici, formalistici ed astratti.

 Un breve cenno ad una interessante sentenza Cassazione Penale, Sez.IV, 1 ottobre 2013 n.40605) ce ne fornisce un ulteriore esempio, con riferimento in particolare alla formazione erogata ad un lavoratore straniero.

Nella fattispecie, il datore di lavoro di una cooperativa veniva condannato per l’inadeguatezza della “formazione fornita al lavoratore C.G. (impartita mediante due incontri di quindici minuti ciascuno)”

 Premettendo che “due soli incontri di quindici minuti ciascuno sono insufficienti tenuto conto altresì degli argomenti trattati”, la Cassazione ricorda poi che il Tribunale correttamente “ha rilevato inoltre che sarebbe stato onere del D.P. [datore di lavoro, n.d.r.] accertare se le “procedure scritte” di movimentazione consegnate ai lavoratori fossero state comprese e recepite dagli stessi e in particolare da quelli stranieri, come il C.G., e a tale questione ha dato risposta negativa”.

Infatti, come ci ricorda un’altra nota pronuncia della Corte (Cassazione Penale, Sez.IV, 10 febbraio 2005 n.13251), “in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro è articolato, comprendendo, tra l’altro, non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinati lavori, la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, la predisposizione di queste, ma anche il controllo continuo, congruo ed effettivo, nel sorvegliare e quindi accertare che quelle misure vengano, in concreto, osservate, non pretermesse per contraria prassi disapplicativa, e, in tale contesto, che vengano concretamente utilizzati gli strumenti adeguati, in termini di sicurezza, al lavoro da svolgere, controllando anche le modalità concrete del processo di lavorazione. Il datore di lavoro, quindi, non esaurisce il proprio compito nell’approntare i mezzi occorrenti all’attuazione delle misure di sicurezza e nel disporre che vengano usati, ma su di lui incombe anche l’obbligo di accertarsi che quelle misure vengano osservate e che quegli strumenti vengano utilizzati”.

Fonte: Punto Sicuro 

Al giorno d’oggi la formazione viene considerata uno degli interventi fondamentali per garantire la sicurezza sul lavoro, ma molto spesso tale obiettivo viene disatteso, come lo dimostrano i numerosi infortuni dovuti a comportamenti errati da parte dei lavoratori.

Perché accade questo? Quali sono le criticità e i limiti della formazione “tradizionale”?

  • molte volte la formazione è noiosa;
  • non risulta “trasferibile sul luogo di lavoro”;
  • spesso non viene progettata e non risponde, di conseguenza, alle esigenze dell’azienda e dei lavoratori, trasformandosi in una ripetizione di contenuti standard, uguali per tutti, piuttosto che personalizzati sulla singola realtà aziendale;
  • frequentemente si traduce in una mera riproduzione di slide… diventando un mero obbligo formale e non un “processo educativo”;
  • in genere prevede inadeguate modalità di verifica dell’apprendimento che non accertano le reali conoscenze e competenze acquisite durante il percorso formativo.

Capita inoltre che l’analisi dei bisogni formativi e del contesto organizzativo spesso manchi e/o risulti superficiale. In questo caso l’intervento formativo può:

  • risultare corretto sul piano formale, ma distante da ciò che serve realmente;
  • essere percepito come una cosa poco utile, distante dai veri problemi dell’azienda.

Oltre a questo, spesso sono i destinatari stessi del corso a non approcciarsi in maniera corretta alla formazione, non capendone l’utilità, non riconoscendone il bisogno, e vedendola semplicemente come una giornata di “non lavoro”, “disincentivati” dai datori di lavoro stessi che preferirebbero avere i propri lavoratori attivi sul posto di lavoro piuttosto che seduti in un’aula.

Un’altra riflessione meritano, poi, anche le modalità con cui un docente dovrebbe erogare un corso di formazione alla sicurezza.

I docenti dovrebbero rapportarsi ai discenti:

  • rendendoli consapevoli dei vantaggi dell’apprendimento;
  • mettendo al centro dell’intervento le esperienze da loro maturate;
  • mantenendo viva la motivazione ad apprendere da parte dei discenti, attraverso l’analisi di sentenze, esercitazioni di gruppo, etc.;
  • affrontando e approfondendo temi specifici propri della realtà nella quale lavorano i discenti.

In definitiva si può affermare che fare formazione è come un’arte, e in quanto tale molto del suo successo si basa su come il formatore riesce ad interpretare il ruolo, sulla sua creatività e sulla sua esperienza, ma molto dipende anche da come l’intero percorso formativo è stato in primis analizzato e poi progettato.

“La cultura della sicurezza di un’organizzazione non è la conoscenza e l’applicazione delle norme e delle regole vigenti o, almeno, non è solo questa.

La vera e propria cultura della sicurezza, invece, è il prodotto dei valori, degli atteggiamenti, della consapevolezza, delle abilità e dei modelli di comportamento individuali e di gruppo che determinano l’impegno nella gestione della salute e della sicurezza integrando tale prodotto nel rapporto tra l’organizzazione aziendale e gli individui che ne fanno parte.

E questa è una definizione di “Cultura della Sicurezza” che vale sia per la piccola che per la grande impresa.

Le organizzazioni aziendali, piccole o grandi che siano, che hanno una radicata e diffusa cultura della sicurezza positiva, sono caratterizzate da scambi relazionali basati sulla fiducia reciproca, su percezioni condivise dell’importanza della sicurezza e sulle garanzie circa l’efficacia delle misure preventive.

La cultura di un’organizzazione influenza, ovviamente, il sistema aziendale di gestione della sicurezza e, semplificando, possiamo definire la “Cultura della Sicurezza” è parte della cultura generale di un’azienda.

Aziende dove la cultura della sicurezza latita sono, invece, caratterizzate da:

  • violazioni diffuse delle norme e delle procedure previste per le attività routinarie e non;
  • mancato rispetto, ove esistente ma evidentemente solo sulla carta, del Sistema di Gestione Sicurezza dell’azienda;
  • gestione del management che sistematicamente assegna priorità alla produzione ed al contenimento dei costi rispetto la sicurezza.

A questo punto bisogna chiedersi quali siano gli aspetti chiave che denotano la sussistenza, nell’organizzazione, di una vera e propria Cultura della sicurezza effettiva ed efficace.In una medio-grande azienda, l’esistenza e la diffusione, a tutti i livelli, della Cultura della Sicurezza, è riconoscibile raccogliendo evidenze su alcune particolari aree. Vediamone alcune.

Politica, organizzazione e comunicazione

  • La politica è fatta propria dalle funzioni apicali e il loro impegno è visibile in tutta la catena di gestione.
  • Le attività per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (SSL) sono considerate importanti quanto le altre aree di attività.
  • La funzione SSL ha uno status elevato e opera in modo proattivo, lavora e comunica in modo efficace.
  • Dirigenti e preposti comunicano regolarmente riguardo la SSL.
  • L’organizzazione adotta norme e procedure relative alla SSL che vanno oltre requisiti di legge.
  • I criteri di selezione dei fornitori e le attività di cooperazione e coordinamento con gli appaltatori sono periodicamente riviste.
  • Tutti i sistemi di comunicazione aziendali sono utilizzati per comunicare riguardo alla SSL.

Addestramento e formazione

  • Le attività di addestramento e formazione sono precedute dall’analisi dei bisogni formativi individuali e dell’organizzazione.
  • Le risorse assegnate alla formazione SSL sono adeguate.
  • Tutto il personale è formato sull’importanza particolare delle procedure e istruzioni riguardanti la SSL.
  • L’apprendimento, dopo i corsi di addestramento e formazione, è sistematicamente valutato.
  • L’efficacia della formazione alla SSL è monitorata anche riguardo al trasferimento effettivo al lavoro ed alle ricadute sull’organizzazione aziendale.
  • Le esigenze formative sono periodicamente rivalutate.
  • I programmi di addestramento e formazione sono rivisti anche a seguito di segnalazioni del personale o in caso infortuni e di near miss.

Gestione delle performance

  • Esiste un sistema di indicatori delle prestazioni della SSL con un programma per il miglioramento delle stesse.
  • Il management riceve regolarmente comunicazioni sull’andamento delle prestazioni riguardanti la SSL.
  • Il management effettua periodicamente un confronto con le prestazioni SSL di altre aziende del settore.
  • In caso di scostamenti rispetto gli obiettivi fissati, sono prontamente attuate le azioni correttive necessarie.
  • Il feedback è sistematico riguardo le azioni attuate anche in modo da apprendere come evitare futuri scostamenti.
  • Le prestazioni SSL sono comunicate a tutto il personale.
  • Il personale, tramite i propri rappresentanti, è sistematicamente consultato riguardo gli indicatori di prestazione, i traguardi e gli obiettivi SSL.
  • Il personale, tramite i propri rappresentanti, riceve sistematica comunicazione riguardo quanto concretamente attuato dall’azienda in merito alle proposte avanzate

Valutazione individuale

  • L’azienda ha preso in considerazione misure per gestire situazioni individuali, comprese:
  • le situazioni individuali di stress sia lavoro correlato che extra lavorativo;
  • le persone che hanno una inadeguata percezione del rischio;
  • L’azienda interviene sistematicamente sui comportamenti a rischio adottando misure per evitarne il ripetersi.
  • I focus group sono utilizzati per identificare le principali strategie di controllo del rischio.
  • Ogni individuo è addestrato e formato in modo tale da essere in grado di valutare i rischi della propria mansione.

A questo punto ci si pone la domanda: come verificare il livello di “ Cultura della Sicurezza nella propria organizzazione aziendale?

Volendo esplorare più nel dettaglio l’esistenza o meno di una Cultura della Sicurezza in un’organizzazione di medio-grandi dimensioni, è possibile utilizzare degli specifici strumenti.

Ad esempio, si potrebbero “esplorare” alcune aree tematiche magari costruendo dei questionari con domande come quelle che seguono oppure organizzando una serie di interviste individuando un campione tra il personale.

Impegno

  • A quale livello gerarchico viene percepita la sicurezza come una delle priorità della gestione aziendale (top management / Dirigenti / preposti)?
  • Come queste figure aziendali dimostrano ciò?
  • Con quale frequenza, i manager visitano i posti di lavoro?
  • I manager parlano con il personale delle attività per la SSL quando si trovano sul posto di lavoro?
  • I manager gestiscono i problemi della SSL emersi nei colloqui con il personale in modo rapido ed efficiente?
  • Quale equilibrio tra sicurezza e produzione mostrano le loro azioni?
  • I manager ispirano fiducia nella gestione della SSL?

 Comunicazione efficace

  • Esistono comunicazioni bidirezionali efficaci in materia di sicurezza?
  • Qual è la frequenza delle discussioni su questioni riguardanti la SSL?
  • Con il manager gerarchico / subordinato?
  • Con i colleghi?
  • Cosa viene comunicato al personale riguardo il programma per la SSL dell’azienda?
  • Il personale percepisce trasparenza nelle comunicazioni riguardanti la SSL?

 Partecipazione dei dipendenti

  • In che modo le persone (di tutti i livelli, in particolare il personale operativo) partecipano alle iniziative sulla SSL?
  • Con che frequenza viene chiesto ai singoli dipendenti di contribuire alla risoluzione condivisa di problemi inerenti la SSL?
  • Gli operatori segnalano situazioni e comportamenti pericolosi e con che frequenza?
  • Esiste una partecipazione attiva e strutturata del personale, ad es. workshop, progetti, ecc.?
  • Esiste un approccio permanente di miglioramento continuo per la SSL?
  • La responsabilità per la sicurezza è percepita e considerata a carico di chi?
  • Esiste una vera cooperazione in materia di sicurezza e cioè uno sforzo congiunto da parte di tutti nell’azienda?

 Formazione / Informazione

  • Il personale è consapevole di aver ricevuto tutta la formazione di cui ha bisogno in funzione delle mansioni svolte?
  • Il personale ritiene di avere una percezione adeguata dei potenziali pericoli e dei rischi nelle rispettive mansioni?
  • Come vengono identificati i bisogni formativi, individuali e dell’organizzazione?
  • Qual è l’efficacia percepita della formazione alla sicurezza?
  • Le informazioni di sicurezza sono prontamente disponibili?

 Motivazione

  • I manager forniscono feedback sulle prestazioni SSL (e come)?
  • I manager (a tutti i livelli – (top management / Dirigenti / Preposti) affrontano sempre i comportamenti pericolosi notati?
  • Come trattano questi comportamenti?
  • I dipendenti ritengono di poter segnalare liberamente comportamenti e situazioni pericolose?
  • Come vengono applicate le sanzioni disciplinari in caso di violazioni in materia di SSL?
  • Cosa pensano i dipendenti delle aspettative dei manager?
  • I dipendenti pensano che l’azienda sia un buon posto di lavoro (perché sì / perché no)?

 Rispetto delle procedure

  • A cosa servono le procedure e le istruzioni scritte?
  • Le procedure e le istruzioni sono correlate ai rischi?
  • Chi è che decide se un determinato compito verrà incluso in una procedura o istruzione scritta?
  • Le procedure e le istruzioni vengono lette?
  • Le procedure e le istruzioni sono ritenute utili?
  • Quali altre regole ci sono?
  • Ci sono troppe procedure e istruzioni?
  • Il personale è ben addestrato sulle procedure ed istruzioni da attuare?
  • L’applicazione delle procedure e delle istruzioni è controllata in modo efficace?
  • Le procedure e le istruzioni sono scritte con la piena partecipazione di chi le dovrà applicare?

 Gestione Near Miss

  • Esiste ed è applicata una politica per la gestione dei near miss?
  • L’organizzazione aziendale apprende dal processo di gestione dei near miss?
  • Il personale ritiene di poter liberamente segnalare incidenti, comportamenti o situazioni pericolose?
  • Il personale è coinvolto nel processo di analisi delle cause a seguito della segnalazione dei near miss?
  • In seguito all’analisi dei near miss ed all’individuazione delle cause, seguono azioni correttive?
  • Coloro che segnalano i near miss ricevono il feedback?

In conclusione, una cultura della sicurezza veramente efficace in un’azienda è quella caratterizzata dall’ avere i manager che esercitano una leadership efficace nell’ azione per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e, nello stesso tempo, sviluppano pratiche volte a coinvolgere direttamente il personale sia nelle varie attività di gestione che nell’applicazione puntuale delle regole e delle procedure.

Questo stile di leadership si deve concretizzare, innanzi tutto, nel riconoscimento dell’importanza della sicurezza e tutela della salute e nell’integrazione della stessa tra i valori ed i principi che guidano i comportamenti dell’azienda sostenendola costantemente da evidenze della sua applicazione nella definizione degli obiettivi di business.

Fonte: Punto Sicuro – Autore Carmelo G. Catanoso

 

Il mondo dei DPI, come tutti i processi legati al mondo della produzione in questi anni, sta subendo una forte evoluzione non solo dal punto di vista della ricerca tecnica dei materiali e tecnologie ma anche dal punto di vista della loro gestione e monitoraggio.

I distributori automatici dei DPI, ormai “intelligenti”, sono connessi e presentano interfacce al livello software ed hardware di estrema semplicità e liberano le azienda dal rischio della “burocratizzazione” delle lettera di consegna, liberando prezioso tempo delle risorse interne ed garantendo un ottimo governo dell’interno processo. L’introduzione dei distributori presenta innumerevoli benefici tra i quali:

  • Ottimizzazione dei magazzini e dei sotto-scorta (controllo consumi in forma istantanea)
  • Riduzione degli sprechi (ottimizzazione dei DPI ed analisi consumi)
  • Garanzia di tracciabilità della consegna dei DPI (garanzia di compliance normativa)
  • Segnalazione anticipata nella gestione delle ricariche dei magazzini
  • Controllo dei falsi prelievi
  • Personalizzazione nel processo di consegna e disponibilità h24 (fondamentale per aziende con aziende con processo continuo con turni)
  • Personalizzazione dell’interfaccia di consegna da parte dell’utente (nuovi DPI – associazione mansione/DPI , DPI/lavoratore ecc..)
  • Possibilità di erogare tramite schermi video – piccole videoprocedure sul corretto utilizzo per rafforzare la parte di formazione/addestramento

Si stanno diffondendo sistemi “Smart” applicati al mondo della gestione dei DPI grazie all’impiego di tecnologie come RFid  e IoT (-“Internet of Things” )che permettono di garantire una vigilanza continua sui DPI, semplificando l’attività di vigilanza, monitoraggio delle scadenze, garantendo inoltre la verifica e controllo degli accessi in aree a rischio (vedi Progetto Sodyra ® – Università del Salento).

Queste nuove tecnologie sono utili per colmare il divario tra sistemi tecnici e procedure di sicurezza che troppo spesso non riescono a dialogare in quanto le variabili in gioco presenti e la complessità delle relazioni risulta difficile da governare. Infatti il passaggio da tecnologica smart (che di fatto è un semplice “gadget”) a un sistema “smart”, permette di trasformare i dati in informazione, analizzarli e possibilmente trasformarli in conoscenza (paradigma Industria 4.0).

Se volete saperne di più vi aspetto il 25 Ottobre dalle 9.00 alle 12.00 presso la nostra sede di Villorba.

Un cordiale saluto.