Presenti negli ambienti più diversi i biofilm sono aggregati di microrganismi che formano sottili pellicole aderenti ad una superficie inerte o vivente.
Il biofilm può essere paragonato ad una sorta di comunità di batteri capaci di comunicare tra di loro e di concentrare i propri sforzi verso l’insediamento, la proliferazione sulla superficie colonizzata e la protezione dalle minacce esterne.
Questo fenomeno comincia con un residuo di materia organica o inorganica presente su una superficie che visivamente può anche risultare “pulita”, ma che di fatto non lo è.
Questo strato comincia poi con l’andare del tempo (si parla anche di poche ore) a inglobare materiale vario, cibo, altri batteri e quindi matura grazie anche al di ruolo attivo dei batteri che si “collegano” gli uni agli altri e trattengono le particelle sfruttando le strutture naturali che di cui sono dotati (pili, flagelli, fimbrie). Per esempio un batterio molto conosciuto nel settore alimentare, Lysteria, si attacca alle superfici attraverso strutture filamentose presenti sulla sua superficie.
Un biofilm libero di maturare ed insediarsi sulla superficie di lavoro in breve tempo risulterà indissolubilmente legato alla superficie stessa e sarà a quel punto capace di sostenere le forme batteriche al suo interno anche in presenza di condizioni avverse alla crescita, rendendo le pulizie ordinarie del tutto inefficaci.
L’adesione può peraltro avvenire su quasi qualsiasi materiale (soprattutto se segnato o rovinato) dall’acciaio inossidabile alle materie plastiche.
Ovviamente sono a maggior rischio tutte quelle aree dei nostri ambienti che sono più difficili da raggiungere e quindi da pulire (guarnizioni, filtri, giunzioni, tubature, sifoni ecc.)
Il problema del biofilm non è però solamente quello di lavorare in ambienti igienicamente inadeguati alla produzione alimentare. Può capitare infatti che frammenti di biofilm si stacchino dalla struttura principale e vengono disseminati nell’ambiente, attraverso un flusso d’acqua o attraverso il contatto con superfici di attrezzi , utensili, pelle di chi lavora. Si parla in questo caso di contaminazione crociata: i batteri possono finire sui cibi contaminandoli, rappresentando quindi anche un rischio sanitario, ed alterando la vita media del prodotto che risulterà ridotta di molto.
Altra conseguenza è che questa presenza costante di materiale organico misto a batteri sulle superfici ne altera a lungo andare la struttura determinando anche fenomeni di corrosione e deterioramento di utensili e attrezzature, costo anche questo da non sottovalutare e che in sede di ispezione può anche tramutarsi in sanzione per mancata gestione delle manutenzioni.
UN BEL PROBLEMA MA COME ME NE ACCORGO?
Spesso il fenomeno, soprattutto nelle sue prime fasi, non è sempre facile da percepire in particolare a casa o in piccole attività, tuttavia vi sono diversi indizi che possono far sospettare che è in atto:
- segnali visivi che sono indicativi, come ad esempio quella presenza di riflessi arcobaleno sull’acciaio inossidabile di una superficie dovuta a permanenza di unto e umidità;
- segnali tattili quali la sensazione viscida al tocco trasmessa da materiali che appaiono puliti visivamente parlando;
- odori inconsueti emanati da una superficie non rappresentano necessariamente una indicazione precisa di presenza di biofilm ma sono segnali di allarme sulla scarsa qualità delle pulizie effettuate, condizione predisponente alla colonizzazione di una superficie.
Per chi invece gestisce la sicurezza dei suoi alimenti in maniera maggiormente analitica (ad esempio tutte quelle attività dove vengono fatte analisi microbiologiche periodiche su superfici, attrezzature e prodotti) un indizio della presenza di biofilm può essere data da un picco periodico di carica batterica sulle superfici di lavoro, variazioni non facilmente spiegabili della shelf-life dei prodotti, o analisi che dimostrano alte cariche batteriche sui prodotti finiti.
Anche l’utilizzo, dove opportuno per la rigorosità delle procedure di controllo, di test rapidi di verifica della sanificazione, quali quelli che registrano la presenza di residui organici, ATP o quelli basati su bioluminescenza, può fornire elementi utili di riflessione in merito alla sua presenza in azienda.
COSA STO SBAGLIANDO E COME RIMEDIO?
Alcune condizioni di lavorazione degli alimenti, alcune modalità di produzione e alcune negligenze possono favorire negli ambienti la comparsa di biofilm:
- turni intensi di produzione con tempi non adeguati o estremamente ridotti per le sanificazioni che vengono quindi effettuate poco e male;
- mancanza di piani di sanificazione conformi a quanto richiesto dalle procedure di autocontrollo (in termini soprattutto di modalità e frequenze);
- prolungato contatto dei cibi con le superfici, ad esempio in macchinari per quanto riguarda la produzione industriale oppure per scarsa organizzazione del lavoro nelle attività artigianali;
- attrezzature e utensili igienicamente non adatti e senza adeguata manutenzione/sanificazione.
Diventa quindi fondamentale prevenire la formazione del biofilm attraverso una gestione accurata e scrupolosa delle operazioni di sanificazione, rispettando in primis alcune semplici regole:
- pulitura a secco per allontanare il materiale particellare e i residui solidi più voluminosi dalle superfici di lavoro (aspirazione, spazzatura, spolveratura, spazzolatura, ecc.)
- risciacquo con acqua potabile calda che serve ad ammorbidire lo sporco. La temperatura dovrebbe essere intorno ai 50 °C cioè tale da permettere l’attacco delle particelle di grasso ma al tempo stesso inferiore ai 60 gradi perchè potrebbe determinare la “cottura” dei residui organici e il consolidamento di quelli minerali con adesione maggiore alla superficie ed effetto di protezione aggiuntivo del biofilm;
- detersione: da effettuarsi con i detergenti appropriati in relazione alla superficie da pulire (neutri, acidi o alcalini) e le caratteristiche del materiale. In questa fase anche l’azione meccanica effettuata con attrezzature adatte è un elemento importante nella rimozione del biofilm;
- risciacquo del detergente: tale da eliminare i residui di sostanza chimica che potrebbero interferire con la fase successiva;
- disinfezione: la corretta pratica dovrebbe ridurre qualsiasi eventuale batterio ancora presente sulla superficie a livelli trascurabili. Il disinfettante va sempre utilizzato su superfici già pulite, per i tempi minimi e alle concentrazioni indicate dal produttore.
- verifica della sanificazione: si tratta di una fase spesso ignorata, ma che periodicamente andrebbe sempre condotta attraverso l’utilizzo di test usa e getta in grado di individuare il grado di pulizia di una superficie.